lunedì 18 luglio 2011

MISERA ME - PUNTATA N° 6

"Carlotta, Carlotta!" sento una voce che mi rimbomba nelle orecchie, io continuo la mia strada e non mi fermo. Quel Bastardo di Mirko non mi avrà mai più. L'alcool sta creando nel mio cranio una specie di gioco di montagne russe con il mio cervello che è diventata una pappetta molle che sobbalza ad ogni mio passo. Mi fanno male gli occhi e sono uno schifo, lo sento. D'un tratto una mano forte
 mi prende per la spalla e mi ferma "lasciami stare!" urlo, "lasciami stare cazzo, ti ho detto di lasciarmi stare non toccarmi", poi un dolore bruciante al volto e cinque dita stampate sulla guancia destra. Alzo gli occhi e davanti a me c'è Francesco. Quello che mi ha detto che sono bellissima, si lui. Con la mano mi accarezzo la guancia come ad alleviare quello stampo che ora pulsa e cerco di entrare, con le sopracciglia aggrottate, nel suo sguardo, cerco di penetrarlo con la mente ma sono troppo ubriaca per concentrarmi. Guardo perterra. Ci sono dei sassi e mi confondo a contarli. Quel vino era troppo forte. Poi cerco di nuovo i suoi occhi, sono chiari o scuri? Non riesco a capirlo, la penombra li rende grigi ma riesco a vedere chiaramente la sua ira che taglia lentamente il suo silenzio imbarazzante. Ma stasera ce l'hanno tutti con me? Rincorro i passi fatti dentro quel locale, rivedo la lingua di Mirko sul collo di Sgambettona, rivedo la sua camicia intrisa di vino, le sue labbra sporche di rossetto. Lo stupore di lei, i sui boccoli perfetti e il suo fottuto vestitino. Le cariatidi che la soccorrono dopo il pugno, le urla e la disperazione come se avessi ucciso il principe Carlo... ora ci si mette pure Francesco con il suo schiaffo. Ma perchè? Cosa gli ho fatto? Conosco qualcuno da 10 minuti e questo già mi schiaffeggia. Senza avere forza di chiedere spiegazioni, inizio a piangere e cado in ginocchio: sono uno schifo, guardami, ora anche il mascara mi si starà sciogliendo. Con le guance rigate di nero, i capelli spettinati, qualche sassolino appuntato insito nelle ginocchia piango silenziosa con il viso tra le mani.
Francesco si inginocchia di fronte a me e arrabbiato mi scosta le mani e prende in prestito il mio viso, trattenendolo tra le sue. "Razza di stupida". Si avvicina con le sue labbra profumate e mi bacia. Sono morbide e golose queste labbra, sanno di tenerezza, di rabbia, di passione e di vino, io chiudo gli occhi e mi lascio trasportare a terra, stesi su questo letto di ghiaino, ce ne fottiamo di quelle cariatidi che ci staranno spiando e che domani in ufficio parleranno solo di noi.
Merda, è già mattina. Sono nel mio letto sudicio circondata da una luce lieve che entra a raggi dalle fessure della tapparella. Che mal di testa. Come ci sono arrivata qui? L'ultimo ricordo che ho sono quelle labbra vellutate, quella lingua setosa e quei sassi sotto la mia schiena. Sono svenuta? Non mi ricordo assolutamente niente, so solo che ora mi devo alzare di corsa e andare a lavorare, anche se non so con che faccia potrò farlo. Quelle sono li che aspettano solo me. Cosa c'è sul comodino? Un girasole... ma... per Dio, questa storia mi sta facendo impazzire, chissà da quale giardino l'avrò strappato tornando a casa. Due stracci e via, devo muovermi.
Sto percorrendo il lungo corridoio affollato, questo posto sembra più un'università che un'azienda. Tutti fingono di non vedermi passare ma io mi sento un pescecane che passa attraverso un branco di pesci rossi che creano una bolla d'aria tra me e loro, e appena me li lascio alle spalle mi ossservano come se aspettassero che la mia schiena o i miei passi dicano qualcosa in merito a ieri sera. "Non è successo niente Carlotta, non è successo niente" mi sussurro piano sottovoce, "capita a tutti di prendere a pugni una stronza che si struscia con quello che è ufficialmente per tutti il tuo fidanzato... capita a tutti di farsi poi vedere ubriaca e stesa a terra baciarsi con un altro che, come se non bastasse, è un pezzo grosso dell'azienda". Ho paura di incrociarlo ora, devo muovermi, devo arrivare quanto prima nel mio ufficio e chiudermi a riccio li, senza parlare con nessuno.
Quando apro la porta sento che cala un silenzio degno di una città fantasma. Potrei quasi giurare di aver sentito sbattere le ante del saloon western. Là in fondo un guercio mi osserva con l'unico occhio salvo, accanto una cariatide finge di scrivere qualcosa al PC, ma mi osserva con la coda dell'occhio, la vedo. Stronza. Troppo silenzio. Stavano parlando di me, ne sono certa.
Senza salutare mi siedo nella mia postazione e mi concentro nelle cose da fare, speranzosa che queste otto ore volino veloci, ho bisogno di dormire, la testa continua a pulsare.
Dopo un paio d'ore sentiamo bussare forte alla porta... Chi bussa? Questo è un porto di mare, nessuno bussa mai prima di entrare. Trasaliamo tutti insieme e per un attimo restiamo tutti attoniti e con gli occhi a forma di punto interrogativo. "Avanti" urla imbarazzato il guercio.

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